Il 10 febbraio, come ogni anno, ricorre il ricordo di una delle tante tragedie che hanno segnato il ‘Secolo breve’, il ventesimo secolo, durante e dopo la seconda guerra mondiale.
Ricorre il ricordo della mattanza degli Italiani di Istria, Dalmazia e Venezia Giulia negli anni tra il 1943 ed il 1945, dell’Esodo di gran parte di coloro che, essendo italiani, vivevano in quelle terre dopo l’assegnazione alla Jugoslavia, del vergognoso obblio in cui per decenni i loro destini e le loro vite spezzate sono caduti.
Sono ricordi che, analogamente a quelli di altre stragi e genocidi, non possono e non devono finire nel dimenticatoio, nella negazione o nella colorazione di parte, ed è giusto e sacrosanto che le giovani generazioni a distanza di tanti decenni sappiano quello che accadde sul Confine Orentale d’Italia in quei giorni lontani ma il cui ricordo ancora oggi brucia.
Infatti l’ignoranza dei fatti, sia pure a distanza ed il silenzio è uguale a morte, anzi il silenzio sarebbe non una seconda, ma una terza morte per questi nostri Fratelli e Sorelle che persero la vita, spesso, per una solta colpa: quella di essere Italiani e voler continuare ad esserlo.
Ma, ferma restando la condanna più decisa e l’esecrazione per i terribili delitti che vennero compiuti dagli assassini del IX Corpus Titino e dalle formazioni ad esso collegate, che nessuna giustificazione possono avere, al tempo stesso è utile sottolineare quali possano essere state le radici scatenanti tanto odio, scaturito in quei giorni alla luce come un fiume carsico dalle profondità dalle viscere della terra, dopo un ventennio di italianizzazione forzata della minoranza slava dei sudditi del Regno d’Italia e dopo gli anni ed il comportamento del Regio Esercito in terra di Jugoslavia.
Queste radici, la loro origine, non è tanto nel Fascismo italiano o nel Comunismo titino che, semmai nei furono tragici amplificatori, quanto nei rispettivi Irredentismi e Nazionalismi, che vanno comunque contestualizzati nell’epoca.
In un bel libro, oggi dimenticato ‘La Jugoslavia dalla Conferenza di Pace al Trattato di Rapallo’, Il Saggiatore, 1966, Ivo Lederer, nato a Zagabria nel 1929 e allora professore incaricato all’Università di Yale, descrive ciò che accadde nei convulsi giorni che seguirono il 4 novembre 1918, con l’esercito italiano proiettato verso Lubiana e fermato dagli Alleati dell’Intesa, un Pietro Badoglio avversario dello jugoslavismo e fervente sostenitore del Trattato di Londra del 1915 che infiltra sul territorio del nascente stato dei Servi, dei Croati e degli Sloveni dei propagandisti ‘foraggiati’ dall’esercito italiano. E dall’altro capo, come non dimenticare che la delegazione del neo Stato che riuniva gli Slavi del Sud si presentò a Versailles, con una delegazione capeggiata da Nikola Pasic che incluse nelle proprie richieste territoriali le città di Trieste, Gradisca, Monfalcone e Gorizia. Siamo nel 1918, il fascismo non è ancora nato, come pure il Partito Comunista di Jugoslavia non è ancora nato perché sarà fondato a Vukovar nel 1920.
Detto questo ribadiamo che è importante il ricordo perché ricordare serva ai giovani, che sono coloro che hanno in mano le chiavi del futuro, non ripetano gli errori tragici del passato e non si ripetano mai più episodi del genere.