Da tempo se ne parla, ma la soluzione ideale ancora non c’è; risultati ancora parziali e, talvolta, contradditori.
Dora Marchi: “c’è ancora molto lavoro da fare e ampio è lo spazio per la ricerca scientifica”
Il cambiamento climatico, da alcuni decenni discusso in tutti gli ambienti vitivinicoli, riguarda l’incremento generalizzato della temperatura ambientale, con periodi molto lunghi caratterizzati da siccità (già prima dell’invaiatura) e diminuzione del contenuto in sostanza organica del terreno (durante la maturazione dell’uva). Aspetto, quest’ultimo, causato sia da eventi meteorologici estremi sia, talvolta, dalla scarsa attenzione umana, oltre che dall’incremento del contenuto in CO2 nell’atmosfera.
“Notoriamente, – spiega l’enologa e biologa Dora Marchi Direttore Tecnico e Responsabile del Laboratorio di Controllo Qualità del Laboratorio del Centro di Ricerca Applicata all’Enologia Enosis Meraviglia dell’eno-scienziato Donato Lanati, – l’aumento della temperatura ambientale e i conseguenti eventi meteorologici estremi sono largamente attribuiti all’aumento del contenuto in gas serra (CO2 e CH4) nell’atmosfera. Per questo, numerosi studi sono stati effettuati nei diversi ambienti vitivinicoli per determinare l’influenza di tali fattori sul metabolismo della vite (tra gli altri: produzione di metaboliti primari e secondari nell’uva, influenza sul metabolismo della vite, influenza sulla produzione). I risultati, tuttavia, sono ancora parziali, in parte, contraddittori e suggeriscono specifici approfondimenti nel contesto dei singoli/diversi ambienti”.
Gli effetti del cambiamento climatico, infatti, risultano negativi in certi ambienti e positivi in altri. L’influenza delle singole variabili, inoltre, solo in qualche caso appare evidente; di solito, le variabili sono interdipendenti e i risultati diversi a seconda delle differenti interazioni.
“Uno dei risultati comuni a tutte le ricerche fino ad ora pubblicate riguarda l’anticipo della fioritura e, di conseguenza, della maturazione dell’uva, denotando un netto distacco temporale rispetto a quanto avveniva nella metà del secolo scorso e/o in tempi ancora più remoti. Questo implica che anche il clima primaverile rivesta un ruolo importante, se non, determinate, sia per l’invaiatura sia sulla maturazione e, conseguentemente, sulla composizione dell’uva stessa”.
Tra i problemi più rilevanti, che riguardano, anche, gli ambienti tradizionalmente vocati alla produzione dei grandi vini, vi è il sensibile incremento del contenuto in zuccheri dell’uva alla raccolta. “Generalmente, questo fenomeno è accompagnato da una diminuzione dell’acido malico ma, non necessariamente, da una diminuzione dell’acidità titolabile e da un incremento del pH del mosto estraibile dall’uva”.
Altro aspetto di fondamentale importanza riguarda le condizioni idriche del terreno.
L’accoppiamento “temperature elevate per lunghi periodi-carenza idrica del terreno” comporta i danni più elevati sulla composizione dell’uva.
“Quando gli stress termici e idrici avvengono in condizioni di forte luminosità, poi, (fattori spesso intimamente legati), per un meccanismo di difesa nei riguardi dei raggi UV-A, le cellule delle bucce sintetizzano Flavonoli, il cui contenuto può generare instabilità nel vino (precipitati di quercetina). Ne fanno le spese i vini carenti in Antociani, che si oppongono alla precipitazione della Quercetina attraverso la formazione di associazioni molecolari solubili (antociani-quercetina) denominati complessi di copigmentazione. L’effetto più drammatico, tuttavia, riguarda il fatto che, nelle condizioni estreme sopra descritte, l’uva raggiunge una discreta maturità cellulare (comunemente denominata maturità fenolica: capacità degli antociani di diffondere in fase acquosa), con contenuto in zuccheri elevato, acidità titolabile bassa e pH elevato”.
A lunghi periodi interessati da temperature elevate corrisponde, inoltre, un basso contenuto in Antociani nelle uve colorate. “Un fenomeno potenzialmente, ma non necessariamente, imputabile all’inibizione della sintesi e/o alla degradazione di questi composti. L’espressione di alcuni geni della via biosintetica dei flavonoidi, infatti, è inibita dalle alte temperature, comportando conseguenze ancora più drammatiche quando l’evento dura per un lungo periodo, tanto che le reazioni di degradazione delle singole classi di Flavonoidi possono superare quelle di sintesi”.
Gli eventi termici estremi influenzano meno la sintesi dei Flavanoli delle bucce (catechine e proantocianidine oligomere e polimere) rispetto a quella degli Antociani, in quanto avviene prima dell’invaiatura, quando il terreno, in certi ambienti, possiede ancora riserve idriche e quando i periodi con temperature elevate risultano maggiormente contenuti.
“A volte, nelle uve che hanno subito stress termici si osserva anche una scarsa estraibilità dei Flavanoli polimeri (tannini) e i vini possono essere carenti sia in Antociani sia in Tannini”.
Complesso, anche, il problema della vinificazione delle uve colorate, di cui alle zone in questione, in quanto le loro acidità totali sono particolarmente basse, il loro pH è particolarmente alto e i loro tannini, a volte, sono maturi e poco astringenti, altre volte, sono astringenti, secchi e verdi. “Un problema ancora non affrontato dall’enologia ufficiale e che necessita l’elaborazione di nuove tecniche di vinificazione e affinamento”.
“Problemi analoghi riguardano le uve bianche. In questo caso, quando l’acidità titolabile è ancora alta, il pH piuttosto basso e l’acido malico ancora presente in quantità apprezzabile, la raccolta anticipata delle uve rappresenta una necessità, per evitare pesanti interventi a livello di mosto e di vino”.
Tuttavia, anticipando la vendemmia c’è il rischio di imbattersi nella scarsa presenza di aromi varietali e di ritrovare sapori amari nel vino. Bastano, infatti, anche pochi giorni di anticipo per ritrovarsi una eccessiva diminuzione dell’acidità titolabile, un elevato incremento del pH e una perdita, quasi completa, dell’acido malico, senza ritrovare un corrispondente miglioramento dei contenuti in zuccheri e in aromi varietali.
Negli ultimi decenni, periodi troppo lunghi e ricorrenti di temperature ambiente particolarmente elevate hanno determinato una diminuzione notevole del contenuto in aromi varietali della classe dei Terpenoli, in particolar modo, nelle uve aromatiche come, per esempio, il Moscato bianco.
In ogni caso, a parte gli aromi varietali, il problema fondamentale riguarda prevalentemente: l’acidità titolabile e il contenuto in Acido Malico troppo bassi, nonché il pH troppo alto. Inoltre, nelle zone maggiormente interessate dai cambiamenti climatici, nella vinificazione dei bianchi è particolarmente frequente il fenomeno del Pinking. In questi casi, il vino assume una colorazione rosata che neppure l’addizione di ioni bisolfito possono rimuovere, non interagendo i pigmenti responsabili del Pinking con gli stessi ioni. Solo tramite specifico test, è oggi possibile prevedere, quindi, limitare tale fenomeno.
Malgrado tutto, è comunque possibile produrre vini bianchi di alta qualità anche in territori colpiti da temperature estreme; adottando opportune tecniche di acidificazione, vinificazione e maturazione, il livello qualitativo di questi vini può risultare buono e, a volte, anche più che buono.
Concludendo, solo da poco tempo si è presa piena coscienza dei problemi drammatici indotti dal cambiamento climatico, anche, in campo viticolo ed enologico.
Gli studi e la letteratura enologica correlati finora prodotti, per quanto attengono vinificazione e qualità dei vini, sono ancora marginali e necessitano di maggiori e più puntuali approfondimenti scientifici.
C’è ancora molto lavoro da fare e ampio è lo spazio per le ricerche aventi come obiettivo la limitazione dei danni provocati dai cambiamenti climatici, dall’innalzamento termico e dalla siccità sulla composizione dell’uva e alla qualità dei vini.