Ne ha parlato Donato Lanati al Capitolo della Selezioni Grandi Vini dell’Albese 2023
Cambiamenti climatici, malattie della vite e sostenibilità impongono cambiamenti sostanziali
Di ritorno alla – vite franca di piede – ne ha parlato l’eno-scienziato Donato Lanati, sabato 16 settembre al Castello di Grinzane Cavour, durante lo speach dal titolo “Le origini della vite”, proluso in occasione del 310° Capitolo della Selezione Grandi Vini dell’Albese 2023. Un intervento essenziale conclusosi con quella che parrebbe una provocazione ma che, invece, potrebbe essere la veniente frontiera agronomica, per una viticoltura di nuova generazione in grado di contrastare malattie e cambiamenti climatici.
“Il vino è un evergreen di almeno 8500 anni di vita, la cui storia non è stata segnata solamente dagli accadimenti naturali, bensì, dal terroir, nell’accezione francese che incorpora suolo, clima, vite e, soprattutto, lavoro dell’uomo” ha esordito Lanati. “Le bottiglie non crescono attaccate alla vite e la varietà, da sola, non determina la qualità. Negli ultimi duemila anni, in Italia, sono stati gli uomini dediti alla viticoltura a individuare gli areali e le esposizioni migliori, per tirare fuori l’eccellenza dai diversi vitigni. Ed è grazie a loro che, a differenza dei cugini dell’Oltralpe, contiamo su un patrimonio varietale senza pari, che si sviluppa lungo l’intero stivale. Certo, i francesi sono partiti prima a produrre un’alta letteratura scientifica e a legiferare in materia; inoltre, sono stati più bravi nella comunicazione, ma l’Italia, se vuole, ha molta più sostanza per fare anche meglio”.
Poi, uno sguardo ai personaggi della storia, dall’illuminato Louis Pasteur all’apportatore di importanti input per l’agricoltura italiana quale fu Camillo Benso conte di Cavour, fino ad Arturo Marescalchi, Ottavio Ottavi, Federico Martinotti e Paolo Desana, in tempi in cui l’Italia vitivinicola ed enologica era protagonista di merito, col Monferrato capitale del vino, fino a tornare alla comunicazione, partendo dall’esempio albese.
“La forza degli albesi è stata quella di fare un vino senza imporre il gusto – ha proseguito Lanati; – vincente, poi, la fascinosa indole alla narrazione della storia che ruota intorno al calice, quella fatta di tradizione, di cultura e di emozioni. Sono questi gli elementi di forza che fanno aumentare l’appeal di un vino”.
Quindi, una breve pausa prima di rilanciare sul futuro. “Si parla spesso di sostenibilità ambientale, di clima e di siccità ma, oggi, per produrre un litro di vino occorrono circa 600 litri di acqua, mentre con le piante franche di piede ne basterebbe meno della metà. La ricerca deve andare in questa direzione, trovando soluzioni che contrastino quelle malattie che, da oltre un secolo, impongono l’utilizzo dei portinnesti americani. Le soluzioni non sono facili, ma neppure impossibili. Vanno ricercate attraverso la conoscenza, lo studio, la ricerca, la sperimentazione e il rinnovamento continuo, alzando lo sguardo oltre i consueti orizzonti. Poi, ci vogliono passione, curiosità, intuizioni e un pizzico di genialità”.
Al Centro di Ricerca Applicata all’Enologia Enosis Meraviglia di Fubine, Lanati e la sua squadra di scienziati biologici, chimici ed enologi stanno portando avanti studi, sperimentazioni e ricerche, supportate dalla tecnologia di nuova generazione, che vanno proprio in questa direzione.
“Tornare a produrre con la pianta franca di piede significa apportare un grande valore aggiunto alla nostra enologia, in termini di sostenibilità, oltre che di qualità e di longevità del vino, nonché di difesa della pianta dalle malattie e dai cambiamenti climatici. Basta guardare all’esperienza georgiana, dove tutto ebbe inizio”.
La cerimonia del Capitolo è, infine, stata occasione per insignire Lanati del titolo di Cavaliere Onorario dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba.